Once in 10 years (or maybe more often?)

Era l’estate del 1997 e stava per arrivare il viaggio che desideravo da sempre: due settimane in college in Inghilterra. L’anno prima avevo già ottenuto delle piccole grandi vittorie, intendiamoci: mi avevano mandata a ballare per ben due volte nella discoteca all’aperto più frequentata della mia zona e avevo iniziato a portare le lenti a contatto, ma quell’anno, dopo che il teatro mi aveva praticamente salvato la vita, dopo il saggio di danza e le poche settimane di stage in una struttura turistica del territorio, sentivo di essere sul punto di prendere il volo. Quell’estate c’era tutto: la carta d’identità valida per l’espatrio, l’incazzatura perché avevano bocciato il mio migliore amico e a me avevano dato 7 a italiano, l’incenso in camera, la Ceres, gli amici di penna, le zeppe, gli anfibi, i capelli fino al sedere, i pantaloni da rapper, il top che scopriva l’ombelico, i libri di Stephen King, la voglia di scrivere, di parlare inglese, di farmi guardare mentre ballavo, di capire, di scoprire. Ero io, in nuce. Non sapevo esattamente dove stessi andando, ma ci stavo andando. Perché a 17 anni ancora da compiere non lo sai, ma in qualche modo lo senti. C’era quel buffo popolo di amiche squinternate che avevo, c’erano le macchine fotografiche usa e getta, la faccia di Carlo, seduto sul cubo, che una sera mi disse “Sei bella” e dopo i baci più dolci che un’adolescente possa sognare diventò un chiodo fisso per più di un anno. Mia nonna mi disse, un giorno: “Sei uno splendore, sei nel fiore della tua età”, e io non sapevo se essere lieta o se impaurirmi, perché si sa a cosa sono destinate le rose una volta sbocciate. Ma nonno non era lì a vedermi, il mio giovane amico Massimo non c’era più neanche lui e io non sarei più stata la stessa, e allora perché fermarsi? Correre, andare, puntare a diritto. Forse è davvero tutto lì, il fulcro di me: un’estate di cui cogliere i frutti più saporiti cercando di mettere a tacere la diffidenza, di non cadere preda dell’ansia, della tristezza, della paura di essere sbagliata.

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E poi il 2007. Come tutte le cose, ci fai caso quando ci sei dentro: era come se mi fossi messa a cuccia in tutti quegli anni. Era quasi tutto diverso, e certo, non avevo dormito per dieci anni di fila. Non solo avevo archiviato il liceo, ma anche la triennale e la specialistica. Certi amori mi avevano ferita, ma avevo accettato molte sfide e preso molti treni. Amiche? Solo poche erano sopravvissute alla prova del tempo. Di nuove, certo. Una in particolare. Più giovane di me di 6 anni, che mi adorava, e che io adoravo. La scrittura come punto fermo. Gli Afterhours in cuffia. Il teatro a tenere tutto insieme. 6 anni di storia con Riccardo, una crisi che serpeggiava. E poi booom! Quando meno te lo aspetti crolla tutto, e rimane solo lei in piedi. Lei, quella che ti guarda dentro e capisce anche quello che tu non hai ancora di te, Stephen King e il teatro. Quante ne abbiamo combinate quell’estate! Chilometri e chilometri macinati per andare ad ascoltare gruppi bravi in posti improbabili, la scoperta che una birra prima di andare in scena mi faceva venire una voce che non sospettavo, mangiare e bere le cose più disparate agli orari più disparati, uscire di casa la mattina senza sapere bene dove dormirai la sera, se a casa tua o a casa sua, quei cavolo di jeans che come facevo a starci dentro con quel caldo dio solo lo sa, amici nuovi, un nuovo fidanzato per lei, il vecchio fidanzato per me, ma solo alla fine dell’estate, quando mi sono ritrovata anche con due nuovi lavori per le mani.

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Di tutto questo, ancora oggi sopravvivono poche cose: lei, Stephen King e uno dei due lavori, quello che più ho amato nella vita. Al teatro ci ho rinunciato per un po’, alla scrittura non ancora. Non che nelle estati tra il 2007 e il 2017 non sia successo niente da dichiarare: ho passato i 15 giorni più belli del mio 2012 a luglio, da sola a Milano, mi sono vista delle grandi albe dal posto più bello del mondo – le braccia di M. -, ho finalmente fatto delle vere vacanze estive, ho pianto di fronte a lucciole, farfalle e libri della mia infanzia, ho fatto il bagno alle terme di notte, ascoltato musica jazz alle 5 di mattina di fronte al mare, guidato per tutti i chilometri che mi sono rimasti in arretrato, passato mattinate a letto a leccarsi le ferite. Ma è arrivato il momento di superare certe paure, di andare a fondo in certe imprese, e sento che questo è l’anno giusto. E lei c’è ancora. Crisalide, come me. Con le ali un po’ stropicciate. Ma vedrai che andrà tutto bene, amica mia. Magari non nel modo in cui crediamo o che speriamo, ma andrà tutto bene. Io su queste estati a statuto speciale che fanno capolino ogni 10 anni ci punto tutto. A volte la vita è un salto nel vuoto, ma bisogna saltare affinché possa apparire la rete ❤
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