L’infanzia in una boccetta: Premier Figuier, L’Artisan Parfumeur

Oggi vi racconto una storia. La storia di una bambina con due nonni speciali che avevano un podere in campagna, con vigne, frutteti, orti e bestiame. E anche una cantina, una stanza piena di trattori e strumenti per coltivare la terra, un granaio, un giardino con un nanetto di pietra, una vasca per i pesci e tanti, tanti fiori colorati.

Ogni estate questa bambina si trasferiva lì, e il suo luogo preferito di tutto il podere era uno scalino di fianco alla veranda di casa, in mezzo ai vasi di lantana e di bocche di leone: si sedeva lì ad ammirare i colori delle piante, a spiare i voli delle farfalle e l’ozio dei gatti, a leggere e a sognare. Poi c’era un altro luogo magico per lei, un luogo intorno al quale molto spesso si concentravano i giochi della bambina e dei suoi amici del cuore, ragazzini che al contrario di lei vivevano tutto l’anno in campagna, in case non troppo lontane dalla sua. Lei era la più piccola, e la maggior parte delle volte erano i suoi amichetti ad andare a trovarla in sella alle loro bici. Si ritrovavano vicino al pollaio, sotto l’immensa pianta di fico, e quello, per le ore a venire, diventava il centro del loro mondo.

Non so se la pianta fosse veramente così grande, o se la bambina era così piccola da sentirsi minuscola al suo cospetto, ma con i suoi rami robusti, le foglie odorose, l’ombra e il fresco che offriva anche nelle giornate più afose, era sul serio il luogo ideale da cui far partire le corse più sfrenate e i giochi più spericolati. E quando arrivava la fame, bastava staccare dai rami più bassi i frutti più pieni e maturi. Con le mani appiccicose di terra e di linfa, le ginocchia sbucciate e martoriate dalle punture di insetti, la pelle del naso bruciata dal sole e i capelli bagnati di sudore, si sedevano in circolo a mangiare, a ridere, a sporcarsi la faccia a vicenda.

Non c’era niente di più bianco della lacrima di latte che usciva dal fico appena colto, non c’era niente di più buono di quei frutti.

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Non c’è più stato niente di simile.

Adesso che mi riparo dal sole con le creme protettive e gli occhiali dalle lenti scure, mi difendo dalle punture degli insetti con le lozioni e al massimo mi procuro dei lividi perché sono goffa e inciampo dappertutto, adesso non ho più una pianta di fico su cui arrampicarmi. Mangio ancora i fichi, quando è stagione, ma quelli che compro al supermercato non hanno lo stesso sapore di allora. Non ho più le ginocchia sbucciate. Uno di noi se n’è andato, per sempre, troppo presto, da troppi anni ormai. Faccio ancora fatica a pensarci. Se avessi ancora quell’albero! Andrei là sotto a riposare, ad annusare quell’ombra dove l’odore della terra si mescolava a quello pungente delle foglie. Era un’ombra che sapeva di verde, e che sotto i denti scricchiolava. Premier Figuier non scricchiola sotto i denti, ma tutto il resto ce l’ha: il bianco del latte, la gommosa trasparenza della linfa, la tenerezza della buccia e la dolcezza della polpa, la scia amarognola della foglia. È una fragranza che mi commuove, anche dopo tanti anni che la indosso, perché mi ricorda com’ero, com’eravamo noi tutti, e di come non saremo mai più, se non nei ricordi, e in fondo al nostro cuore. Quando ho voglia di andare a trovare i bambini che eravamo, faccio una cosa molto semplice: apro un cassetto del cuore, e anche la boccetta ettagonale firmata L’Artisan Parfumeur. Ed ecco di nuovo l’ombra, le risate, gli insetti, e noi tutti sotto l’albero, di nuovo insieme. Per sempre.

Premier Figuier, L’Artisan Parfumeur. In vendita su Vittoria Profumi

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