L’estate in cui ho fatto pace con gli short

L’estate in cui ho fatto pace con gli short non è l’estate in cui una mattina mi sono svegliata somigliante a un angelo di Victoria’s Secrets, non è l’estate in cui sono dimagrita e mi sono tonificata fino a rivelare un femore fascinosissimo e non è neanche l’estate in cui mi sono guardata intorno e invece di notare solo ragazze e donne con un corpo più bello del mio mi sono finalmente soffermata anche su quelle con un corpo più brutto del mio, scoprendo che se trovano il coraggio loro posso trovarlo perfino io.

No, se devo essere sincera il cambiamento che aspettavo da tanti anni è avvenuto esclusivamente dentro di me: speravo che arrivasse ma allo stesso tempo ero cosciente che quel momento avrebbe anche potuto non arrivare mai, perchè il motivo di questa idiosincrasia ha radici lontane, è dentro la mia testa da circa 25 anni e lì l’ha fatta da padrone per la maggior parte della mia vita.
Le mie ginocchia sono sempre state la mia disperazione.
Ho le cosce oggettivamente più grosse del resto del corpo per costituzione: quando rientro nel mio peso forma loro rimangono robuste, toniche e muscolose quanto vuoi ma pur sempre più grosse del resto. Ma non è questo il problema in sé: in costume mi ci metto senza nessuna paranoia, è sempre stato così, anche quando ero fortemente sovrappeso. Il mio problema sono le ginocchia: rotule massicce e rotolino di ciccia a coronarle, anche quando ho un indice di massa corporea impeccabile. Indossare orli che si fermano poco sopra il ginocchio mi ha sempre messo in crisi perché mette in rilievo esattamente quella parte di me così poco gradita, resistente a ogni tipo di dieta, trattamento estetico o attività sportiva. 

E sì, l’ho sempre saputo che ci sono ginocchia brutte quanto le mie, e che non si può sacrificare la comodità per una fissazione, e che cosa te ne frega, non puoi mica patire il caldo perché ti vedi brutta? Per me è sempre stato un argomento fuori discussione: gonne di una lunghezza che dissimuli, legging e short lontani dal mio armadio. A un certo punto ha perfino smesso di essere un problema. Hai provato coi bermuda? mi chiese una commessa di Slam anni fa. Le risposi che era peggio che andar di notte, mi implorò di provarmene un paio perché non poteva credere che una ragazza carina e brillante come me si imponesse rinunce del genere. Accettai, perché era empatica e per niente invadente, ma aveva bisogno di capire: uscii dal camerino, guardò la mia faccia dubbiosa, guardò le mie ginocchia incorniciate dalla stoffa che le ingoffava, e mi porse una fantastica gonna sportiva a microrighe, un po’ svasata, che a distanza di molto tempo è ancora un punto di riferimento nel mio guardaroba estivo.

Nel 2012 da Oysho ho ceduto a dei pantaloncini di cotone molto graziosi che ho iniziato a portare in casa e per andare a dormire, ma per ogni tipo di l’attività sportiva non mi sono mai staccata da pantajazz e pinocchietti di cotone morbido. La mia nutrizionista mi ha sempre detto che, specialmente con la mia circolazione, non è bene lasciar surriscaldare le gambe quando si fa sport, ma io ho sempre annuito andando avanti per la mia strada: al massimo mi sono arrotolata i pantaloni a metà coscia quando non ne potevo più ed ero sicura che nessuno mi notasse.

Poi l’anno scorso ho comprato un paio di pantaloncini sportivi rosa su ZalandoPensavo di metterli in casa e al massimo per andare a camminare nel bosco intorno casa. Linea Ivi Park. Taglia L, perché non volevo affrontare l’umiliazione di straripare dentro una M. Sono arrivati e ho capito due cose: la taglia L era troppo grande perfino per me, ma quel tipo di pantaloncino era ciò che cercavo. Non li ho mai indossati per uscire di casa, ma all’inizio di questa estate ho fatto il bis: stesso modello, taglia M. Rossi, stavolta. Meglio. Li ho usati per andare ad allenarmi da Roberto, cercando di non dare peso al fatto che avrei incrociato altri bipedi nel tragitto tra auto e studio. Non è andata male. Vedermi allo specchio non mi esaltava, ma neanche mi metteva in crisi come avrei pensato. Qualcosa stava iniziando a smuoversi.

E se avessi provato con la taglia S? Tanto ormai le ginocchia erano scoperte comunque, tanto valeva vedere come calzava la mia taglia. Fatto. Ho optato per il grigio, e ho scoperto che c’è più differenza di grandezza tra la S e la M che tra la M e la L, ma che la S era veramente la mia taglia, che mi stavano perfettamente di vita/cosce/sedere e che bastava non guardare verso le ginocchia per godersi la sensazione di indossare un capo che sembra disegnato su di te. 

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Mi sono sentita talmente coraggiosa da indossarli perfino per andare a seguire un workshop di teatro tre settimane fa: tutto il giorno fuori casa con un paio di pantaloni davvero corti. Ogni tanto mi veniva in mente cosa stavo facendo, e mi veniva da congratularmi con me stessa. La sera mi sono vista in foto (a sinistra, di spalle, short grigi e canotta bianca) e la prima cosa che ho notato è stata la posizione scorrettissima del collo durante l’esercizio che stavo eseguendo; solo dopo un po’ sono andata a rivedere lo scatto per esaminarmi gli arti inferiori. Un bel risultato.

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E allora stasera io vado: c’è un incontro del gruppo outdoor in uno dei posti più belli della nostra zona, si chiama Etruscan Workout e non posso perdermelo. Ci saranno persone meno in forma di me ma sicuramente altre molto più in forma di me, ma io sono gasata per quello che farò e non intendo farmi paranoie sulle mie ginocchia, quindi gli short sono già pronti per essere indossati, e amen.

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Questo per dirvi che se avete un complesso apparentemente irrisolvibile potete impegnarvi a risolverlo o tirarvi indietro dalla sfida, ma in ogni caso quando arriverà il momento in cui è superato sarete senz’altro le prime ad accorgervene, con un piccolo *click* dentro di voi e il respiro che a un certo punto sarà un pelo più leggero.
E che, se avete un’amica, una figlia, una collega con un complesso apparentemente irrisolvibile potete cercare di convincerle in tutti i modi che non hanno niente di sbagliato, tuttavia che non vi ascolteranno, non perché sono troppo ostinate o stupide per darvi retta, ma perché è una questione che si risolve dentro noi stesse. Allora anziché argomentare con frasi sgradevoli tipo “Ma cosa dovrebbe fare xxx, che ha 30 chili più di te, non uscire più di casa?” oppure “Certo che sei proprio bacata, non capisco di cosa tu debba vergognarti!”, cercate semplicemente di ascoltare. Se non capite, provate a dare ascolto ai limiti degli altri. A volte è già un aiuto immenso.

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